Di certi prodotti si dice: “può avere controindicazioni: è un medicinale, usare con cautela”: un modo per sottintendere  che in certi casi può fare bene, ma che è altrettanto bene non abusarne. La stessa cosa si potrebbe dire della televisione, soprattutto quando parliamo di bambini. 

CHI GUARDA COSA
I piccoli di  TV ne guardano tanta, anche di quella che non è pensata per loro.  Si calcola che circa un 40% di ragazzini di sei, sette anni guardi “Amici” di Maria de Filippi e che una percentuale analoga di under dodicenni, a mezzanotte sia ancora davanti allo schermo. Tre quarti delle famiglie italiane cena con la televisione accesa sul telegiornale che rovescia nei piatti notizie di stragi, guerre e catastrofi. Perciò parlare di televisione per bambini può sembrare a volte pura accademia. Eppure c’è.
Sgomberiamo subito il campo da  fraintendimenti: chi scrive queste righe è una autrice di programmi televisivi  per bambini, (da alcuni anni di Melevisione e di Trebisonda). Ma prima di parlare di questa,  vediamo  qual è l’offerta televisiva per ragazzi sulle reti pubbliche e private  alle quali si accede liberamente senza decoder e abbonamenti satellitari. 


QUEL CHE  PASSA LA TV
Le reti private non producono programmi in proprio programmi per i piccoli. Mettono in onda solo  cartoni e telefilm acquistati da altri paesi.
La televisione pubblica produce programmi per bambini. Il motivo è semplice: acquistare un cartone costa 1 e produrre un programma costa 100.  Si potrebbe pensare che non  sia importante se un cartone animato sia fatto in Italia o all’estero, purché sia bello.  Ma c’è un altro aspetto da considerare. La televisione,  assieme ad altri mezzi di comunicazione come  libri  giornali,  teatro,  cinema, mette  in moto intelligenze e competenze. Si impegnano scrittori, sceneggiatori, registi, disegnatori, che costruiscono giorno per giorno  una cultura  che  si rivolge ai bambini. E lo fanno tenendo conto della loro storia, delle loro tradizioni del loro vissuto. 
Chi  lavora ad una trasmissione si confronta quotidianamente con chi guarda quel prodotto televisivo. In  sostanza risponde di ciò che fa.  Se a Melevisione, il giorno dopo  il cambiamento di un personaggio   arrivano 500 e.mail  che chiedono “perché  e come”  spiegare il cambiamento ai propri bambini, significa che l’attenzione dei genitori è ancora in buona salute e che  guardano e ascoltano i propri figli con attenzione. Con un cartone giapponese questo non succede. Ma nemmeno con Zorro o con Heidi. Non c’è rapporto.
Un’altra differenza significativa fra reti pubbliche e private è l’affollamento pubblicitario.   Un bambino che resta dalle 15 alle 17  davanti ad una rete pubblica che trasmette programmi per ragazzi   ha zero minuti pubblicitari. Nella stessa  fascia oraria  sulle reti private, i minuti di pubblicità sono circa 20.  

    
BUONA  E CATTIVA
Quand’è che  una trasmissione, più che “cattiva” è stupida? Non tutti i cartoni giapponesi sono brutti, alcuni sono ben costruiti e spiritosi. Ma  le storie   hanno orizzonti culturali diversi dai nostri. La mistica del sacrificio del singolo, l’esaltazione dell’obiettivo a tutti i costi, o la visione animista del mondo possono risultare incomprensibili e a volte  veramente pesanti per un bambino di quattro o cinque anni. Ma ci sono altri  programmi cosiddetti per bambini che hanno le famose “controindicazioni e vanno usati con cautela”. Sono quelli che esaltano  il divismo precoce, che scimmiottano i programmi degli  adulti, che ripropongono  una TV gridata.  Ci si chiederà: “ ma un programma buono, com’è?”. Al di là del genere televisivo, che può essere indifferentemente documentario, informazione, fiction ecc, un buon programma per bambini deve prima di tutto raccontare.  I bambini hanno bisogno di storie.  Un buon programma deve  suscitare immaginazione, far pensare, offrire  informazioni,  divertire, stimolare curiosità, allargare orizzonti, offrire la possibilità, una volta spento il televisore (e bisognerà pur spegnerlo prima o poi),  di continuare a “fare”.  Programmi che in questi ultimi dieci anni si sono impegnati in questo senso sono diversi: basti citare Albero Azzurro, Art Attack, Melevisione.

USO DI  MELEVISIONE A SCUOLA
E’ una trasmissione in molte scuole.  Il programma  racconta ogni giorno  una storia diversa che avviene, nel Fantabosco. Gli intrecci sono  fra personaggi classici della fiaba: folletti gnomi, fate, lupi streghe, orchi, geni, principi e principesse. Un mondo che i bambini conoscono bene, grazie alle favole della tradizione.  Ogni puntata ha un tema specifico, in genere legato al mondo della natura o alla sfera dei sentimenti. Si   parla di alberi, di animali, di acqua, ma anche di rivalità fra fratelli, di paura, di generosità, di maschi e femmine… A prescindere dal tema, gli “ingredienti” fissi che vengono offerti, ben inseriti nel racconto, sono: una filastrocca, una manualità o una canzone e alcuni approfondimenti e informazioni, rigorosamente documentati, sull’argomento. Molte scuole registrano le puntate e le riguardano assieme ai bambini usandole come piccole unità didattiche. Partono dalla visione del programma per  imparare la canzone, la filastrocca,  o per rifare assieme ai bambini la manualità proposta. Ma anche per chiacchierare assieme a loro sul tema emerso dalla puntata. La fruizione da parte dei bambini, ovviamente, cambia con l’età. I più piccoli ne colgono gli aspetti più evidenti: il gioco, il movimento, la gag, la canzone, mentre i più grandicelli entrano nella trama e prendono parte alle vicende dei personaggi, schierandosi spesso a favore dell’uno o dell’altro. La chiave fiabesca del racconto,  ha la stessa funzione catartica della fiaba: elaborare conflitti,  aiutare a “tirar fuori” piccole o grandi pene, e abituare al piacere di ascoltare fiabe e inventarne di nuove. E continuare a fare. Anche quando il televisore si spegne.